giovedì 7 settembre 2017

Osservazione e Contemplazione


A volte quando chiedo a un paziente: "cosa senti rispetto a questo evento o a questa persona?" osservo che c'è una difficoltà piuttosto diffusa a stare nell'autosservazione per comprendere quale emozione è presente in quel momento. Se l'emozione è molto forte può essere rabbia o tristezza ma la risposta è spesso: "non lo so". 



Quando impari a stare nell'osservazione di ciò che accade dentro di te, senza giudizio, come uno scienziato che sta conducendo un'esperimento possono accadere i miracoli.
Questa è la base della meditazione: la mindfulness ci insegna a osservare la dimensione invisibile, ciò che è sottile e muta in continuazione come il respiro, le sensazioni corporee, le emozioni, i pensieri, i desideri, le aspettative...
Quando la mente smette di essere padrona in casa si sostituisce a lei una parte che le diverse tradizioni spirituali e sapienziali hanno chiamato l'osservatore, il testimone, l'anima. Spesso associamo l'anima alle emozioni, al sentire, ai pensieri ma non è esattamente così, l'anima comunica con noi attraverso le emozioni e l'immaginazione ma noi non siamo le nostre emozioni o i nostri pensieri che cambiano in continuazione in base agli eventi esterni. 



Nella Mindfulness immaginale noi consideriamo i disagi, i disturbi, i problemi come spiriti, dei, demoni che chiedono di essere accolti e nutriti con il cibo dell'attenzione cosciente. Questa metafora è molto efficace per mostrarci la struttura della mente nevrotica come i sei mondo nella rappresentazione della ruota del Samsara nella tradizione Buddhista.
Quando impari a stare nell'osservazione dei tuoi disagi e dei tuoi disturbi con accoglienza e compassione realizzi che la mente vive di attaccamenti che proietta all'esterno. Contemplare i propri attaccamenti, restando nel fastidio, nel dolore psichico o fisico, aiuta a scioglierli entrando dentro il processo meditativo. Ecco perché il primo passo consiste nel restare a osservare cosa sentiamo nel corpo.
Cosa succede in questo momento? Non c'è niente da cambiare all'interno se non accogliere e accettare quello che c'è adesso. 



All'esterno compiremo delle azioni come allontanarci da chi e' violento, egoista, prepotente  o chiudere delle relazioni con le persone irrisolte e in conflitto con se stesse con la consapevolezza che abbiamo la responsabilità delle nostre emozioni e dei nostri pensieri, in ogni momento e che quella persona o quell'evento non potevano, in quel momento, essere diverse e che non possiamo cambiarle ma possiamo cambiare il nostro modo di percepirle.
Non sono le immagini che devono cambiare ma la nostra relazione con queste immagini che chiedono di essere osservate, accolte, accettare e pacificate.
In qualche modo è vero che se cambiamo noi cambia anche l'esterno... dipende da quanto siamo consapevoli del nostro ruolo negli eventi e delle dinamiche psicologiche che mettiamo in scena nelle relazioni con il mondo.
Scegliere se rimanere nel rancore o nel perdono dipende da quanto siamo disponibili a vedere una parte di noi nell'altro... quella parte chiede di essere osservata e accolta senza giudizio per essere sanata.
Il nemico non è fuori.
Ringraziamo l'altro per averci mostrato il demone da nutrire e lasciamo andare tornando al nostro centro.
Scrive Salvo Pitruzzella, mio Maestro di Drammaterapia: "gli altri possono essere l'inferno quando rispecchiano il nostro "pubblico nemico" interno ma possono essere anche l'insostituibile matrice dell'essere, quando rispecchiano l'infinita molteplicità delle possibilità di connettersi l'uno con l'altro e condividere la struggente bellezza dell'essere creature umane".

giovedì 27 luglio 2017

Pacificare le immagini del passato



"Il passato è passato e va lasciato alle spalle!" Quante volte ce lo siamo sentiti dire? E' Vero. Il passato non c'è più e quello che abbiamo vissuto in passato resta vivo solamente nella nostra memoria. La nostra mente registra delle rappresentazioni interne degli eventi vissuti ma queste rappresentazioni che sono fondamentalmente immagini, interpretazioni degli eventi, sono filtrate dalla memoria in base al nostro vissuto e alla nostre caratteristiche di personalità. Lo stesso Freud durante le sedute psicoanalitiche con i pazienti scoprì che spesso i traumi di violenze non erano che fantasie infantili di fatti che in realtà non erano mai avvenuti.
Spesso non riusciamo a fare pace con il nostro passato perché non ci rendiamo conto che qualsiasi cosa abbiamo vissuto è stata costruita nella nostra mente nella relazione con un altro essere umano. Non sto dicendo che le violenze subite siano sempre fantasie ma che qualsiasi esperienza vissuta viene interpretata in maniera soggettiva.
Se la natura, che ne sa piu' di noi, ci ha dotato della memoria è proprio per custodire i ricordi: apprendiamo per imitazione e impariamo dalle esperienze vissute nel bene e nel male... senza memoria ci troveremmo a ripetere gli stessi errori e ad abitare costantemente le stesse immagini.

Ricordare significa riportare al cuore

La maggior parte delle persone non ricorda ma recupera informazioni... spesso distorte. E' un processo automatico dove non c'e' sforzo, non c'e' volontà, dove non ci si da la possibilità di riportare le immagini al cuore e creare uno spazio di comprensione. E nel cuore che si può fare pace con i ricordi e le immagini che abbiamo abitato e che abitiamo ancora.

Qualche anno fa mi trovai a rileggere le mail e le chat inviate nel corso di due anni durante una relazione finita. Fu illuminante per me scoprire le motivazioni, spesso dettate da insicurezze personali, per cui due persone trasformano un sentimento profondo in una stupida guerra senza vincitori. Recuperare mail e lettere ci aiuta anche a capire se ricordiamo con rabbia o con amore... se diamo ancora le colpe a noi stessi o piuttosto all'altro. E' uno specchio sul nostro mondo interiore.
La costruzione di senso della mente cerca una logica che non c'è. La logica può aiutarci fino a un certo punto nell'elaborazione degli eventi ma il passo decisivo è quello di capire che le cose sono andate come dovevano andare e non potevano andare diversamente. E' necessario lasciare andare.




La visione immaginale orientale e quella occidentale

Nella psicologia del buddhismo, come ci ricorda Mark Epstein nel libro "pensieri senza un pensatore", la sofferenza è rappresentata dalla ruota della vita (samasara) e dai sei regni dell'esistenza che gli esseri umani percorrono all'infinito nel ciclo di morte e rinascita. L'idea di fondo insita in questa immagine è che le cause delle sofferenze sono i mezzi stessi della liberazione e che noi siamo gli unici che possono scegliere se metterci nella prospettiva della prigionia o della schiavitù dal dolore attraversando, per esempio, i regni animali e infernali o nella prospettiva del risveglio, la mente del Buddha, e che si ottiene passando per le esperienze del regno umano.
La mente seleziona i ricordi e distorce queste immagini attraverso l'attaccamento, l'odio e l'illusione. Non sono le immagini in sé a provocare la sofferenza ma la nostra percezione di queste immagini.
La psicologia occidentale invece ci insegna che sono i pensieri automatici e fuori dal nostro controllo  a creare una mente nevrotica. Ecco che le immagini orientali diventano una metafora delle nostre esperienze di dolore o al contrario di gioia. Nel Buddhismo è infatti la riconciliazione e la compassione che ci porta alla liberazione dalla sofferenza attraverso la chiara visione degli eventi. La liberazione si conquista modificando la percezione degli eventi e non continuando ad abitare i regni infernali ma neanche quelli celesti tanto propagandati dal movimento new age.

Quale soluzione?

Noi siamo creatori di storie e le nostre storie ci raccontano dei ruoli che recitiamo nell'incontro con l'altro. Se vogliamo cambiare non possiamo alimentare le stesse immagini all'infinito. Se ci raccontiamo e raccontiamo agli altri sempre la stessa storia non potremmo che rivivere sempre le stesse esperienze vivendo nei sei regni identificati dal buddhismo. La mente ci inganna perché una mente nevrotica è una mente che non trova pace e che non ha compreso che le esperienze non si possono modificare ma si può modificare la percezione e l'interpretazione di quelle esperienze.
Il cuore invece sa. Torniamo sempre al cuore e iniziamo a scrivere storie migliori per noi stessi.

Tiziano Cerulli

sabato 22 luglio 2017

Il Mondo siamo noi



Ci sono persone ossessionate dall'idea della  "giustizia". Chi attende la giustizia su questo pianeta rimarrà deluso. Non può esistere e mai esisterà una giustizia terrena dove l'uomo ha una coscienza addormentata. L'uomo "giusto" e' un uomo che non pensa e agisce piu' in termini di IO ma di NOI. E' un uomo che si e' risvegliato dall'illusione della separazione. La sua visione è olistica... sa di essere parte di qualcosa di più grande.
Esiste infatti una giustizia che va oltre i valori diffusi e la si può percepire solamente avendo Fede. Fede in un principio eterno e assoluto
che puoi chiamare Dio, Vita, Esistenza, Universo. Non si tratta di credere ciecamente a un Dio che pensa e agisce come un essere umano. L'uomo ha fatto Dio a sua immagine e somiglianza... Dio, quel Dio, è morto. Questo principio divino non è morale e ne immorale ma è amorale perché non segue le logiche della mente umana. La nostra cultura invece è corrotta perché si basa sulla logica del potere e del controllo e la maggior parte degli esseri umani, in profondità, anche se non lo ammette, è attratta dal potere e ambisce ad avere il controllo della propria vita. La Fede invece è la perdita del controllo. La sicurezza interiore che ogni cosa io possa vivere, anche la più terribile, è l'esperienza che devo vivere anche se non ne capirò razionalmente il motivo. E' un affidarsi alla dimensione invisibile.
Questo non significa smettere di lottare per la verità e combattere contro le ingiustizie ma smettere di campare scuse come: "il mondo va male perché i politici sono corrotti", "è colpa della mafia, delle banche e delle multinazionali" o "la gente è disonesta (tranne me)".
Si inizia a crescere spiritualmente quando si lascia andare la rabbia e il giudizio e ci si rende conto che siamo legati indissolubilmente uno all'altro. Se un essere umano in un altra parte del mondo, in Africa o in Asia, In Europa o negli Stati Uniti, soffre o è vittima di un'ingiustizia ognuno di noi è responsabile, non colpevole, ma responsabile. Ogni nostro pensiero, emozione, azione individuale influisce a livello economico, politico, sociale e ambientale. Anche stare in silenzio senza fare nulla per paura significa essere responsabili. L'omertà è comunque una scelta che stiamo pagando e pagheremo sempre più cara. Non può esistere un concetto univoco di giustizia dove l'uomo è frammentato interiormente ma ognuno di noi può e deve fare ciò che ritiene "giusto" nella sua dimensione quotidiana. Prima di voler cambiare il mondo cambiamo noi stessi
.

Tiziano Cerulli


venerdì 12 giugno 2015

L'illusione del perdono


L'essere umano, come disse G.I. Gurdjeff, mistico armeno, è frammentato. Non ha un quello che Gurdjieff definiva "centro di gravità permanente". Non esiste in realtà qualcosa chiamata identità. Noi costruiamo una cosa chiamata "identità" nelle nostre relazioni prendendo in prestito, per imitazione, pezzi dell'identità degli altri significativi. Curioso che il termine personalità derivi dal greco di Persona (maschera). Ognuno di noi possiede tanti "Io" quante sono le maschere che indossa a seconda delle situazioni sociali per ottenere quello che la sua personalità desidera. Siamo biologicamente programmati all'attacco e alla fuga e solo attraverso un percorso di crescita interiore e un lavoro su se stessi si può andare oltre la propria natura animale.

La Psicoanalisi all'inizio del Novecento ha introdotto i concetti di proiezione e identificazione. Noi proiettiamo sugli altri i contenuti inconsci della nostra stessa mente e ci identifichiamo con le persone che invece rispecchiano parti di noi che abbiamo integrato e di cui siamo più consapevoli: "la realtà ci fa da specchio. Vediamo solo ciò che siamo". 
Se avvertiamo fastidio di fronte a qualcuno quel fastidio è dentro di noi non all'esterno, ciò significa che il problema è in noi e non negli altri, qualsiasi cosa dicano o facciano. 
Questo non significa non prendere delle decisioni e fare delle scelte per se stessi ma essere sempre connessi con il proprio sentire, centrati in quello che succedere dentro di noi.

Lise Baurbeau ha ripreso il concetto parlando delle cinque ferite. Secondo l'autrice noi attiriamo per risonanza le persone che hanno le nostre stesse ferite con lo scopo evolutivo di curarle. Scappare dal dolore non ci aiuterà quindi a risolvere quella ferita. Quando proviamo fastidio o rabbia verso qualcuno è necessario chiedersi: "quale parte di me, che non voglio vedere, riflette questa persona?" Per usare il linguaggio dell'Alchimia, tutto ciò che ci da fastidio è ciò su cui dobbiamo lavorare per trasmutare il nostro Piombo in Oro. L'altro quindi ci facilita il lavoro interiore perché ci da il materiale, la pietra grezza, su cui costruire il nostro diamante. Il Perdono, allora, se veramente c'è qualcosa da perdonare all'esterno, si ha quando rivedendo quella persona che crediamo ci abbia fatto del male ci rendiamo conto di non provare più emozioni negative nei suoi confronti ma indifferenza, per i più fortunati un segreto senso di gratitudine per il dono che ci ha fatto di costringerci a lavorare su noi stessi. 

Allora... e solo allora... arriverà il Per-dono. Che è sempre un dono verso se stessi e mai verso l'altro. Io mi perdono per provare quel sentimento verso una parte di me che l'altro ha portato alla luce. Il dono lo faccio a me stesso e non all'altro, che in fondo ha solo fatto quello che in quella situazione e con quella personalità, forse, non poteva diversamente.

Tiziano Cerulli

mercoledì 26 novembre 2014

Differenze di genere e psicologia ingenua. Qual'è la verità?


I
Ieri, 25 novembre,  si è svolta la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Forse in pochi conoscono gli eventi storici che hanno consacrato questa data alla battaglia contro tale e ingiustificabile tipo di violenza che sembra non diminuire... il 25 novembre 1960, le sorelle Mirabal andarono a fare visita ai mariti, trasferiti nel carcere della città di Puerto Plata. Le tre donne furono vittime di un'imboscata degli agenti del servizio segreto militare. Portate in una piantaggione di canna da zucchero vennero violentate e massacrate a bastonate per poi essere strangolate. I loro corpi vennero poi rimessi nel veicolo sul quale stavano viaggiando che venne fatto precipitare per un dirupo simulando un'incidente. Furono "suicidate".
Voglio riportare un interessante articolo di Caterina Pasolini, pubblicato su La Repubblica, dal titolo Educare contro gli stereotipi di genere dai banchi di scuola, come spunto di riflessione sullo stato attuale della nostra consapevolezza rispetto al tema della violenza.

"La vicepresidente del Senato Valeria Fedeli ha presentato un disegno di legge per introdurre nelle scuole l'educazione di genere. Un primo passo nella battaglia contro la violenza alle donne: "Basta con i libri che alle elementari parlano di bambine che cucinano"
"La battaglia contro la violenza alle donne comincia sui banchi di scuola, con un insegnamento che la smetta di tramandare luoghi comuni che inchiodano maschi e femmine a stereotipi, che ignora quanto l'altra metà del cielo ha fatto in tutti campi, dalla storia alle letteratura passando per l'astronomia". Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato, ne è convinta, tanto che ha presentato un disegno di legge per introdurre nelle scuole e nelle università l'educazione di genere. La scuola ora insegna luoghi comuni? "Alle elementari i libri parlano di bambine che cucinano o cullano le bambole e maschietti che giocano con le costruzioni, eppure in orbita ora mi pare ci sia una donna. Il problema è che in questo modo li si inchioda a stereotipi non lasciandoli liberi di seguire altre inclinazioni. Si dice che le bambine devono essere brave, ubbidienti e che i bambini non devono piangere ma vincere". È questa la differenza di genere? "Imparano una grammatica dei sentimenti sbagliata che si chiude attorno a loro come una gabbia, perché esclude la complessità di ogni essere. È un errore dire che piangere è da femmine ed essere forti è da maschi, tutti siamo forti e fragili allo stesso tempo e una lacrima non esclude tenacia, anzi". Sono sterotipi che cambiano la vita? "Sì perche uno non si sente autorizzato a pensare in modo diverso se ti hanno inculcato certe visioni, l'attesa del principe azzurro, la passività. Se chiedi ai bambini cos'è una governante ti rispondono una colf, non una donna presidente di regione. Eppure nella realtà le donne italiane sono molto più avanti di quello che si pensa, purtroppo è cosa difficile da accettare per i loro coetanei. La scuola in questo può aiutare a farli crescere assieme nel rispetto delle differenza e nella parità". I corsi sono voluti dall'Europa? "Sì, da agosto ce lo chiede in base alla convenzione di Istanbul. Sino ad oggi dal punto di vista della prevenzione alla violenza e per la parità di genere ci sono state sperimentazioni in alcune scuole, ma mai nulla di complessivo. Non sono mai diventate programma scolastico, al massimo un oretta ogni tanto". Come sarà la scuola della parità? "L'idea di fondo è che dalle elementari al liceo ci siano corsi che, dimenticando i luoghi comuni in primo luogo, rimandino ad un'idea di storia, letteratura e costruzione del mondo in cui si racconti anche il contributo delle donne. In questo modo si passa dall'infanzia in poi un messaggio di reale parità, nella diversità, di uguale contributo. In modo che nasca tra i ragazzi il profondo rispetto che porta al riconoscimento della libertà altrui di realizzarsi come forma di amore, invece del possesso come dimostrazione di affetto che porta alle violenze" Tanta ancora la strada da fare? "Be, lo dice un sondaggio fatto pochi giorni fa. Tutti i luoghi comuni sulle donne sono validi per gli uomini italiani Pensano che le loro compagne preferiscono stare a casa, non lavorare, occuparsi solo dei bambini. E questo non riconoscere la realtà e la voglia di parità c'è anche nel mondo del lavoro, dove le ragazze devono essere il doppio motivate e impegnate perché la loro bravura venga riconosciuta". La cultura per vincere la violenza? "Sì, come prevenzione è quello che serve perché la violenza di genere è indipendente dal censo, appartenenza sociale: operaio o avvocato non cambia, significa che c'è qualcosa di più profondo e atavico che va cambiato alla radice per smettere di contare ogni anno le donne ferite uccise dai loro compagni. Si cambia partendo dai bambini, gli uomini di domani".

Le Manifestazioni in piazza: quale utilità?
Qualsiasi giornata o manifestazione contro qualcosa e qualcuno è, a mio parere, inutile. Quando si va contro qualcosa le si da energia. Le si da la stessa energia che si mette per combatterla. Un atteggiamento maschile e non femminile, di accoglienza e accettazione, come dovrebbe essere quello verso qualcosa che non si comprende. Ma si sa, le pecore seguono il gregge se non c'è un pastore a guidarle. E quel pastore è la coscienza. Cosa fare se però tale coscienza è dormiente? 
Perché la coscienza collettiva si evolva è necessario che ci sia un'evoluzione di quella individuale. Nessuna società può avere un'evoluzione o una crescita se non parte dalle fondamenta. Il singolo cittadino. E le fondamenta di ogni società sono i bambini: l'infanzia. Se l'infanzia, come si sta facendo oggi, viene corrotta il processo educativo diventa un processo di castrazione. E come può esserci cambiamento in un mondo dove ancora si dice ai maschietti: "non devi piangere, è da femminucce!"... "ha il pisellino grosso come quello di papà... chissà quanti cuori spezzerà!" o alle femminucce: "stai buona e composta, non fare il maschiaccio". Illusioni. Bugie che vanno a depositarsi nel nostro inconscio personale attivando schemi cognitivi e copioni relazionali disfunzionali.
E ciò che non è conscio domina le nostre vite rendendoci vittime inconsapevoli di una manipolazione e  un controllo sociale atto a farci diventare consumatori di prodotti.
Quale coscienza ci può essere in delle "macchine" che credono di pensare e invece sono pensati da altri? Fino a quando le persone continueranno a seguire ciò che viene a lor propinato dai mass media e dalla cosiddetta edu-castrazione scolastica come modelli di pensiero omologati e comportamenti stereotipati?





Biologia o Cultura?
Fino a che punto incide la Biologia sul nostro modo di essere maschi o femmine? E forse l'ambiente che gioca la parte più importante nel darci forma? 
La verità è che ogni essere umano è maschio e femmina allo stesso tempo, a prescindere dal genere di appartenenza e alle scelte sessuali. Ci sono uomini più femminili di tante donne e donne più maschili di tanti uomini. Cosa significa questo?  Maschile è tutto ciò che coincide con penetrazione, competitività, analisi, razionalità, attività, linguaggio, estroversione e separazione. Femminile è tutto ciò che coincide con accoglienza, collaborazione, sintesi, intuizione, passività (ricettività), simbolismo, introversione, inclusione. In ogni essere umano si manifestano in percentuali diverse, un'energia maschile e una femminile. E ogni essere umano è diverso da un altro.
Dove sta quindi il problema?

Se il saggio indica la luna e lo stolto guarda il dito, il problema sta negli occhi di chi guarda. E noi non abbiamo occhi per vedere. Guardiamo ma non vediamo l'altro per com'è ma per come siamo noi. Se non sappiamo andare oltre la dualità il problema è nei nostri schemi mentali limitati che vogliono incasellare le persone dentro categorie ed etichette. E se non riusciamo a farlo re-agiamo con la violenza e il giudizio. 
Non permettiamo a nessuno di dirci come dobbiamo essere. Essere se stessi significa aver trasceso, con un lavoro su di sé, i modelli culturali e le opinioni degli altri sui noi stessi. Aver trasceso anche l'opinione e il giudizio sul nostro corpo e la nostra identità. 
Il "devo essere" va bandito con un "Io sono". Si, perché noi siamo esseri umani e non prodotti in vendita. Se io mi amo e mi accetto a prescindere valorizzo le mie differenze. E se amo non può esserci nessuna violenza. Se c'è violenza nel mondo è perché è dentro noi stessi. Quindi che senso ha manifestare se ciò che si manifesta all'esterno non è che il riflesso di ciò che è all'interno? Gira lo specchio è osserva. E lì che che troverai la menzogna... o la verità.

Tiziano Cerulli

domenica 6 aprile 2014

Il bisogno di essere riconosciuti e la trasmutazione interiore


A volte soffriamo perché persone per cui abbiamo provato amore hanno scelto di non rivolgerci più la parola senza una spiegazione, un chiarimento, rifugiandosi nella loro torre di avorio e di non darci più una possibilità chiudendo la porta del loro cuore.
Quelle stesse persone che usavano parole come "rispetto" e "dialogo" ma che vivono di monologhi.
Quelle stesse persone che incontrandoci per strada o in un bar a un nostro sguardo o saluto rispondono con un freddo "ciao" o abbassando la testa facendo finta di non vederci. Non ti guardo così non devo vedere me stesso.
Quelle stesse persone che hanno scelto invece di aprire il loro cuore verso altre persone, vampiri energetici, a cui perdonano tutto confondendo l'amore con l'attaccamento e vedendo in loro quella figura paterna o materna che non hanno mai avuto.
All'inizio potremmo chiederci: "perché lui o lei sì e io no?".
La risposta possiamo trovarla forse nelle parole di Vadim Zeland: "Tutti noi, in un modo o nell’altro, “specchiamo noi stessi”. Questo si vede chiaramente quando reagiamo a qualche stimolo o fattore irritante esterno. Appendiamo agli altri le proiezioni delle nostre aspettative; accusiamo gli altri di ciò di cui pecchiamo noi stessi; critichiamo gli altri per quello di cui siamo in difetto; adoriamo soffermarci sulle imperfezioni, le mancanze e i fallimenti altrui; andiamo in escandescenze quando si fa allusione alle nostre debolezze. Insomma, entriamo in risonanza con ciò che consciamente o inconsciamente ci preoccupa o ci manca. Lo stesso vale per i nostri punti di forza. Ad esempio, la compassione e l’empatia sono le forme supreme di manifestazione dell’amore incondizionato. “Ti amo e ti apprezzo non meno di quanto ami e apprezzi me stesso”. Il desiderio di aiutare, la partecipazione sincera, la nobiltà d’animo, il rispetto, la dignità, l’onore e la generosità nei confronti delle persone, degli animali, delle piante, dell’intero nostro pianeta. Mi prendo cura del mio mondo e il mio mondo si prende cura di me. E in molti possiedono queste qualità".
Se io non ho ricevuto nella mia infanzia amore e non ho rispetto per me stesso, non riconoscerò l'amore quando lo incontrerò sulla mia strada, ma al contrario lo chiederò ha chi il mio stesso bisogno allontanando le persone da cui invece lo desidero ma non riesco ad averlo.
Di conseguenza mi circonderò di persone che non mi rispettano ma che sono la proiezione inconscia di come mi comporto con gli altri. Oppure vivrò relazioni immature in cui l'altro mi mostra di me stesso solo quegli aspetti che ho già integrato ma che non mi fanno crescere. Quello che mi farà crescere è proprio quello che mi da fastidio dell'altro. Quello che giudico dell'altro è la mia opportunità di evoluzione.
Un bruco si circonda di bruchi. Una farfalla di farfalle. E' la legge della natura. Un bruco può diventare una farfalla ma non può tornare a essere un bruco.
Attiriamo a noi quelle persone che si trovano al nostro stesso livello di coscienza. Le altre lasciamole stare dove stanno dentro quella "crisalide protettiva" da cui hanno paura di uscire per trasformarsi e prendere il volo.

Tiziano Cerulli